Brano: [...]DEL CAV. ANGELO MUSCETTA 63
giarono con avidità ogni cosa, ma io piangevo ed ero tanto umiliato, che non mi veniva la voglia di assaggiare cibo. Insieme con me piangevano i genitori, però alla sera, dietro loro insistenza, dovetti mangiare qualche cosa.
I giorni dopo il Natale, mia madre si guarí completamente, e nei. primi giorni dell'anno 1890 seguí anche la guarigione di mio padre. Io intanto avevo scritto in Italia allo zio Sabatino, e [a] zia Angelarosa, e ricevetti dopo pochi giorni da entrambi lire 50, che sparirono per incanto, per alimentare i poveri genitori durante la convalescenza. Io intanto al mia principale avevo nascosto ogni cosa, e per la mia assenza giustificai che ero ammalato. Ripigliai il mio servizio, ' ed a furia d'in. vestigazioni, seppe ogni cosa, e mi rimproverò aspramente, mi aumentò del doppio la settimana, e a mezzo giorno mi faceva rimanere a pranzo con loro. Il mio atto di coraggio ed abnegazione verso i genitori ispirò in lui tale simpatia, da ispirarmi fiducia illimitata: incassavo, rendevo la resta ai clienti, f[...]
[...]Immacolatella Vecchia, fuori vi era un carretto venuto insieme con un mio cugino avvisato a tempo e caricammo le poche masserizie e noi, partendo alla volta di Saviano. I parenti ci accolsero con gioia, ci istallammo in casa di due sorelle di mia madre, suore zia Peppa e zia Filomena, in attesa di stabilirci, forse ad Avellino. Ed infatti dopo quattrocinque giorni, partimmo io e mio padre alla volta di Avellino, pregando la sorella di mio padre, zia Angelarosa, il marito zio Sabino e zio Sabatino (che abitava alla casa del Notaio Titomanlio padre in via Beneventana) pregando questi parenti venirci in aiuto, anche a titolo di prestito, per iniziare il lavoro. Ma intanto, un poco perché le loro case non andavano bene, un poco per farci assumere una certa responsabilità, pregarono il compare Fusco perché c'improntasse qualche cosa, per iniziare il lavoro.
Qui entriamo nella terza fase, e potrei dire « dall'ago al milione »..
Verso la fine di agosto, sempre del medesimo anno, il compare Fusco consegnò a mio padre 8 coppi da lire 5 cadauno di bronzo,[...]
[...]rettanto, e per ogni articolo che compravo, ne compravo un pezzo in piú, ed appiccicavo il prezzo, spesse volte la merce finiva e il campione rimaneva. Il cliente protestava, io dicevo prontamente che tale articolo era finito quella mattina.
Eravamo al maggio del 1896, e piú che io, il mio povero padre era soddisfatto di aver ripigliato il suo mestiere, e che rendeva abbastanza. Questo rendimento fece balenare l'idea a mio zio Sabino, marito di zia Angelarosa, sorella di papà, di mettersi in socio con noi; società, se cosí vogliamo chiamarla, che mio padre non potette rifiu. tarsi, perché i primi soccorsi l'avevamo avuto da lui. Il guaio lo passai io, perché questo zio era anche analfabeta, e non del mestiere, essendo lui proprietario e gestore di trattoria e di una piccola camera per uso di albergo. Ci preparammo per l'altra fiera di S. Egidio a Montefusco, lavorando come un cane per la contabilità, perché anche questo barese, era analfabeta. Insomma io che avevo frequentato la seconda classe elementare e due mesi della terza, ero un padreterno. [...]
[...]a. Di questo caos ne avevano tratto profitto i clienti ferrovieri che erano centinaia al giorno, e che venivano da Napoli (perché ad Avellino allora non vi era nessun deposito). E costoro mangiavano a credito, ordinando dei pranzi luculliani, e per la bontà di mio zio, che andava a Napoli per riscuotere tutti i mesi, erano piú quelli che non pagavano, che quelli che pagavano, ed i morosi ritornavano a venire a mangiare ed alle rimostranze di mia zia Angelarosa, sua moglie, che lavorava giorno e notte in cucina, lui rispondeva che era senza camicia, mentre ora ne aveva diverse. Si era arrivato al luglio del 1896, epoca che dovevo preparare gli acquisti per la prossima fiera del 29 agosto ed io tanto ci tenevo, perché i migliori frutti
e le maggiori soddisfazioni li avevo ricevuto da quella fiera. Durante la mia assenza la gestione del buffet veniva assunta da mio zio proprietario, ma tutti volevano Angiolillo, tutti cercavano Angelino, e non posso nascondervi, che su questo lui era un poco invidioso. Vennero i giorni che precedevano la fiera, e con[...]
[...]miglia da lui
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presieduto, in qualità di tutore, e che tutti erano rimasti soddisfatti per le buone informazioni morali sui mio conto, ma non si trovavano d'ac
dordo per la posizione finanziaria. E non avevano tutti i torti: io non
possedevo nulla, la sposa portava in dote circa 6 mila lire, in contanti 3.800 e 2.200 una casa e terra, ancora in comune col fratello Carlo
Capotreno. Però mio zio Sabina e mia zia Angelarosa mi donavano lire 1.000 ciascuno alla rispettiva loro morte, e ,il contante della sposa veniva ipotecata su una loro casa, e quindi .garentita; lo zio Sabino s'impegnava fare tutte le spese del matrimonio, mobilio, vestiti per me e per la sposa, quel poco di oro, ecct. ecct.
I zii della sposa quasi non volevano aderire a questo matrimonio, perché non avevano voluto accettare due .matrimoni, uno di un ricco orefice di Gesualdo, e un altro in quell'epoca esattore di Montefusco, tutti e due ricchi, di buona famiglia, ma di pessimi precedenti giovanili. Lo zio Bocchino si alzò, e disse ai famigli[...]
[...]esistenti, e mi trascinò per qualche giorno anche a me a scioperare. Intanto per due giorni feci lo sciopero
Al
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della fame e piangevo amaramente la mia sorte, pensando che il matrimonio potesse andare a monte, e l'amare era cosí potente, balenandomi nel cervello di commettere qualche sciocchezza. Però fidavo sempre nella preghiera, e di cui non mi sono mai staccato, e nella mia vita ho trovato sempre conforto. Un giorno mia zia Angelarosa, [di] nascosto del marito Sabino, venne a trovarmi e si rammaricò per quello che era successo, e lo stato mio compassionevole e disperato. Mi mandò subito dalla trattoria da mangiare, e venne di nuovo ad assicurarsi, se io avessi mangiato, perché quasi da tre giorni non avevo toccata cibo. Intanto Vincenzina mi scrisse da Montefusco, che aveva saputo che erano sorte delle questioni serie, tra noi e zio Sabino: i soliti amici e invidiosi s'erano preso la briga di scriverle una lettera anonima informandola di tutto, aggiungendo perfino che il matrimonio sarebbe andato a monte. Supplicandomi di [...]
[...] la briga di scriverle una lettera anonima informandola di tutto, aggiungendo perfino che il matrimonio sarebbe andato a monte. Supplicandomi di scriverle tutta la verità, e conoscendo il mio tipo affettuoso, non mancò d'incoraggiarmi, di avere fede in Dio per il nostro destino. Un giorno, profittando che lo zio Sabina era a Napoli, ed analizzando bene le cose, riconobbi che il torto era da parte dei miei, e incoraggiato dalle buone parole della zia Angelarosa, di cui portavo il nome del padre, e mi voleva molto bene, andiedi a prendere servizio, giustificandomi verso i clienti che ero stato poco bene. La sera tornò lo zio Sabino da Napoli con l'ultimo treno di mezzanotte, disse: — Buona sera —, a cui risposi; ma non mi disse altro. Diede alcune disposizioni ,a mio zio Gavino, che funzionava sempre da cuoco, e si ritirò. Fui quella sera un poco contrariato per .il suo atteggiamento ancora severo, e pensando che il lavoro di pacificazione l'avrebbe preparato la zia Angelarosa sua moglie, andiedi a riposare per qualche ora nella stanzetta su una tavo[...]
[...]ndiedi a prendere servizio, giustificandomi verso i clienti che ero stato poco bene. La sera tornò lo zio Sabino da Napoli con l'ultimo treno di mezzanotte, disse: — Buona sera —, a cui risposi; ma non mi disse altro. Diede alcune disposizioni ,a mio zio Gavino, che funzionava sempre da cuoco, e si ritirò. Fui quella sera un poco contrariato per .il suo atteggiamento ancora severo, e pensando che il lavoro di pacificazione l'avrebbe preparato la zia Angelarosa sua moglie, andiedi a riposare per qualche ora nella stanzetta su una tavola, l'unica camera mia da letto, per diversi anni; camera da letto che da giorno funzionava da sala da pranzo, e la sera la tavola funzionava da letto: stanzetta umida, perché terra piena, e il sole si vedeva a scacchi. Quella vita durò per circa tre anni, e tutta quell'umidità fu la causa farmi perdere in pochi anni uno per uno tutti í denti. Passarono dei giorni, mi riappaciai (e con me, anche i miei) con zio Sabina. Lettere dalla fidanzata Vicenzina venivano tutti i giorni, chiedendomi spiegazione del dissidio, ed io[...]
[...]midità fu la causa farmi perdere in pochi anni uno per uno tutti í denti. Passarono dei giorni, mi riappaciai (e con me, anche i miei) con zio Sabina. Lettere dalla fidanzata Vicenzina venivano tutti i giorni, chiedendomi spiegazione del dissidio, ed io rispondevo che tutto era finito. Si era arrivato alla fine di luglio ed alla prima domenica di agosto si celebrava a Montefusco la festa di M.M.S.S. del Carmelo. Un giorno chiamai in disparte mia zia Angelarosa, e gli dissi che quello era il momento per far dissipare ogni voce messa in giro, circa il nostro dissidio, e che lei e mia sorella Maria dovevano andare a Montefusco in occasione della festa. La zia Angelarosa, non solo acconsenti di buon grado, e disse che avrebbe convinto anche zio Sabina suo marito, ma che avrebbe portato alla fidanzata un regalo di un bracciale d'oro. Infatti il venerdì
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che precedeva la festa di domenica, zia e mia sorella Maria partirono per Montefusco, senza nessun preavviso. Lascio a voi immaginare la sorpresa e la gioia della mia fidanzata, con la zia, nel vederle arrivare: questa era per loro la conferma di quanto io gli avevo scritto, cioè l'avvenuta pacificazione. Naturalmente la gioia non era completa, perché mancavo io, però la mia[...]
[...]ti innanzi ad uno dei caffè improvvisati, ascoltando la musica di fronte che eseguiva l'ultimo pezzo, e cioè il canzoniere, perché dopo questo avevano inizio i fuochi artificiali. Non posso descrivervi l'impressione che tutti provarono, nel vedermi arrivare a quell'ora a piedi dalla stazione di Prata, e alquanto sudato. Bevetti due birre, ci godemmo i fuochi artificiaili, ed a casa ci aspettava una bella cena, residuo di un pranzo cucinato dalla zia Angelarosa, provettissima, ed espertissima nell'arte culinaria; gnocchi, carne, polli insalata, ecct., inaffiata con ottimo vino. Quale gioia fu per noi fidanzati, può descri
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verlo solo chi ha sofferto di simili mali: con grande soddisfazione dei parenti tutti, e specie dello zio Canonico, che vedevano dissipate quelle voci messe in giro da invidiosi, i. quali avrebbero visto con piacere andare in fumo questo matrimonio. La cena fini alle tre e mezzo del mattino, e dopo di aver bevuto due tazze di caffè miscelato con la cicoria (surrogato in voga e che costava due soldi il pacchetto[...]
[...]zio Franceschiello, per questo matrimonio fatto, dopo quanto era successo rispondeva: — Aspettate, e vedrete che quel giovane, (si alludeva a me) per la sua abilità nella vita, farà progresso e non gli mancherà mai nulla. Passarono 7 mesi, e già i preliminari di pace da parte di zio Sabino (segnatamente l'amico suo intimo Compare Fusco) si avvicinarono a me per persuadermi a fare la pace, toccando il mio debole, la moglie di zio Sabino, la buona zia Angelarosa, sorella di mio padre. Ma io non volevo più saperne. Avevo saputo che il lavoro del buffet era fortemente aumentato, e malgrado avessero preso servizio due camerieri una cameriera, una sguattera, oltre il cuoco, non potevano arrivare, e tutti rubavano. Ebbi pietà di loro e pensando anche quanto avevano fatto per me, creandomi una famiglia, finii per accettare, e tranne mio padre che seguitava il suo mestiere, e mia madre che con la cameriera vigilava cinque camere mobiliate nel palazzo Alvino, che avevano nove ferrovieri a pensione, io, mia moglie e le mie sorelle, ci riunimmo con zio Sabino [...]
[...] due camerieri una cameriera, una sguattera, oltre il cuoco, non potevano arrivare, e tutti rubavano. Ebbi pietà di loro e pensando anche quanto avevano fatto per me, creandomi una famiglia, finii per accettare, e tranne mio padre che seguitava il suo mestiere, e mia madre che con la cameriera vigilava cinque camere mobiliate nel palazzo Alvino, che avevano nove ferrovieri a pensione, io, mia moglie e le mie sorelle, ci riunimmo con zio Sabino e zia Angelarosa. Per ragioni di economia, cambiammo casa. Io e mia moglie due camere al secondo piano, alla casa di Giordano (Melella); e dove sta ora la trattoria di Melena presero alloggio mio padre, mia madre e mia sorella.
Mio zio Sabina e mia zia Angelarosa fiatarono la casa al secondo piano dove sta ora il bar di Umberto Avagliano, compreso di tre camerette e cucina. Le tre camerette furono utilizzate per piccolo albergo, mentre la piccola cucina fu adibita per camera da letto di mio zio e mia zia, cucina umida, che a stento conteneva i1 letto. Avevo pietà dei miei zii nel .modo come si erano potuto adattarsi, ma intanto andava in certo qual modo pareggiare il bilancio molto passivo. Quanti sacrificii, quante privazioni, è inutile descriverlo, eppure ringraziavo sempre la provvidenza. Eravamo arrivati a1 gennaio del 1903 e sembrava che le cose
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[...]ino, profittando ohe vi era una pianta disponibile (l'attuale fabricato) alla ferrovia, pensò di iniziare il lavoro, e costruire un fabricato, composto di dodici vani, oltre i scantinati. Si iniziarono i lavori, vennero altre rimesse dal Brasile fino a raggiungere la somma di lire 8.500. La casa fu ultimata, e con l'appaltatore Maiali padre fu stabilito che la resta dell'importo del fabricato venisse pagata in tre annualità. Mio zio Sabino e mia zia Angelarosa si stabilirono nel nuovo fabricato, e segnatamente nella camera attuale n. 8 col balcone prospiciente sul piazzale della stazione, ed il resto delle camere per uso di albergo. Io, Vincenzina mia moglie e i due bambini Amato e Sabino ci trasferimmo al palazzo di Ciro Alvino al primo piano. Si lavorava, e s'intravedeva un futuro miglioramento finanziario.
In quell'epoca, non so per quale ragione, ci fu una grande immigrazione, e tutte le sere arrivavano con i due ultimi treni da Napoli ventitrentaquaranta immigranti della nostra provincia, che dovevano ripartire l'indomani, e quindi costretti[...]
[...]il cameriere, io il padrone: mi trasformavo a secondo del bisogno. Ti guadagno era soddisfacente, perché mentre noi si lavorava con centesimi, questi immigranti pagavano con dollari, che in quell'epoca i'l dollaro quotava lire 4,20 italiane. Il bello era, portavo le valigie internamente dalla stazione al buffet e mi regalavano; li servivo a tavola, ed avevo la mancia; li accompagnavo in camera (portando le valigie), ed avevo altre regalie. e mia zia Angelarosa, mia moglie Vincenzina, mio zio Sabino in cucina ridevano a crepapelle, per tante mie trovate, per tante mie barzellette. Una sera arrivarono trentadue immigranti, che dal loro vestire avevano l'apparenza di essere molto ricchi (sempre cafoni). Tutti allegri mangiarono e bevevano a profusione, regalavano senza parsimonia. Ebbi uno dei momenti miei, che alla mia età (malgrado i disagi) tanto ini distinguevano.
Nella sala da pranzo vi erano i seguenti ferrovieri, che tutte le sere si divertivano: un capotreno, chiamato Cuomo suonava la chitarra; un macchinista, Durante, suonava il violino; un [...]
[...]i —. Al fuochista (che aveva la faccia della fa
(1) Ma non sono le bellezze, sono i modi che tu hai.
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me) gli diedi un piattino, e dopo pochi minuti entrarono chiedendo il permesso a mio zio Sabino proprietario, di suonare. Credetemi, fu un successone. Quando usci il fuochista col piattino, non lo dimentico mai, raccolse lire 41 che in quell'epoca era una forte somma. La buonanima di Vincenzina, mia moglie, e lo zio Sabino e zia Angelarosa, non potevano fare a meno di commentare le mie gioviali trovate. Quanta ero felice.
Nel gennaio del 1905 rimpatriarono dal Brasile il cognato di mio zio Sabino con la moglie e tre figli, e naturalmente si piazzarono in casa nostra a mangiare e dormire. Ne avevano il diritto, perché mio zio doveva a loro, se si era costruito la casa. Intanto il mio dubbio incominciava a rodermi il cervello, pensando che questi nipoti, due donne e un maschio, giovanotti, potevano farmi dare lo sgambetto, per piazzarsi loro con lo zio, e io con moglie e due figli potevo trovarmi sul lastrico. Affidai il mio des[...]
[...] Brasile erano diventati tanti parassiti, non sapevano e non volevano far niente. Mio zio Sabino, col suo occhio clinico, guardava la situazione, e lui stesso vedeva la differenza che cassava fra me e loro: io che abbracciavo con passione tutti i disagi, il lavoro, i sagrificii, e loro, apatici, pensavano a mangiare, bere e dormire. E naturalmente, col mio lavoro, con le mie privazioni di sonno, di divertimento, di riposo, e con lo sprone di mia zia Angelarosa verso il marito (con questo vi è un antico detto, che bisogna essere sempre il parente della Regina e non _del Re), feci breccia nell'animo di zio Sabino, diventando il suo beniamino, e non ebbe lui né il coraggio, né la malvagità di cambiare quell'affetto sincero verso di me.
Intanto però mio zio Sahino cercava una soluzione per liberarsi di cinque persone adulti, che da diversi mesi erano a suo carico, incapaci di mettere, o spostare una sedia da un punto all'altro, ma che in sostanza avevano un certo diritto perché dall'America avevano inviato del denaro, per costruirsi o comprare una cas[...]
[...] le sere mi ritiravo pieno di sudore, anche nei mesi freddi. Pensavo tra me e dicevo a me stesso: — Con questa vita che faccio, morirò presto —. Invece il destino, la Provvidenza non mi abbandonava: al momento che scrivo ho sessantasette anni, seguito a lavorare, seguito a vivere.
Intanto la salute di mio zio Sabino peggiorava giorno per giorno per la malattia di gotta che soffriva, e il 18 febbraio del 1909 morì, lasciando nel dolore la moglie zia Angelarosa, noi tutti e tutti coloro che lo avevano conosciuto, e che a tutti aveva beneficato. Effettuai dei solenni funerali, e ottenni, previo pagamento, il permesso di sotterrarlo in una tomba della famiglia Labruna, e siccome detta tomba era di diversi eredi, il 2 novembre dello stesso anno poco ci mancò di prendere a schiaffi una signora condomina di tale tomba, che non voleva permettere che mettessi fiori e accendessi dei ceri. Non mancai comprare una nicchia che a quell'epoca (date le mie condizioni finanziarie) era già una cosa di lusso, accarezzando sempre un sogno, che poi divenne realtà, di [...]
[...]a già una cosa di lusso, accarezzando sempre un sogno, che poi divenne realtà, di far riposare le sue ossa eternamente in una nicchia di una nostra cappella gentilizia.
Da quell'epoca incominciò una vita nuova per me; piena di sacrificii e piena di responsabilità. Fu necessario trasferirmi dal palazzo Alvino alla casa da poco fabricata, e precisamente nella camera n. 8 abitata dal defunto zio Sabino, e alla stanzetta attigua n. 7 si trasferì la zia Angelarosa, con i miei due figli Amato e Sabino, mentre nel basso, dove attualmente esiste la trattoria di Melella Giordano, abitava mio padre, mia madre, e le mie due sorelle, tornate da S. Giorgio del Sannio.
Il lavoro del buffet era di molto aumentato: poco per volta pagai tutti i debiti lasciati dal mio povero zio, fino all'ultimo centesimo, perché non volevo che si parlasse male di mio zio defunto. Posso garantirvi che la mia felicità era completa, lavoravo con la mia povera moglie Vincenzina senza limiti.
Nel novembre del 1909 avvenne un forte diluvione nella provincia di Salerno, producendo for[...]
[...]morso si può chiamare, per non avere avuto la possibilità, di far godere le due vittime del lavoro dei sacrifici, delle privazioni. E di tanto chiedo perdono a Dio ed ai miei cari scomparsi, se qualche lieve colpa vi sia da parte mia, indipendente dalla mia volontà.
SECONDO EPISODIC DELLA MIA VITA
Dopo l'anno tragico, o meglio il giorno triste due luglio 1910, rimasto solo con mia madre, le due sorelle e i miei figli Amato e Sabino, e la buona zia Angelarosa, con l'azienda (divenuta importante) del buffet e dell'albergo, molte responsabilità si aggravarono su di me. Tirai avanti alla meglio per tredici mesi lavorando con maggior lena, sia materialmente, sia moralmente, ritirandomi a notte alta, cercando riposare due tre ore. Ma era un riposo, senza conforto, senza una persona cara che mi comprendesse, aumentando così il mio morale abbattuto, che non trovava pace. Ed un giorno del mese di agosto di quell'anno venne per quattro giorni da Montefusco zio Franceschiello, il quale voleva molto bene a me ed alla buonanima di Vincenzina sua nipote carnal[...]
[...] brodo costavano cent. 25 la porzione. Quello che ci faceva da guida era il povero Luigino Spagnuolo. Dimenticavo dire che dopo sposati, partimmo da Avellino diretti a Napoli, in una automobile di lusso appartenente al Duca d'Aosta padre, e che per amicizia di un parente di Amelia avevamo avuto regalando solo lire 100 all'autista. La prima volta che andavo in automobile.
Durante la nostra assenza, il magazzino di vendita fu portato avanti dalla zia Angelarosa e un ragazzo garzone. Dimenticavo dirvi che l'inizio fú meschinissimo: il vano davanti con l'entrata sul piazzale della ferrovia fu diviso in due quello davanti per la vendita, e l'altra metà adibito per cucina e sala da pranzo. Dopo il portoncino, quel vano che dopo fu adibito a studio, piantammo un salottino alla meglio dove fu celebrato con lusso il battesimo del primo figlio del secondo letto, Carlo.
Tornati dal viaggio di nozze, riprendemmo con passione il nostro lavoro. Zia Angelarosa e Amelia erano in poco tempo diventate maestre nel loro compito, ed io facevo il mio giro per gli acqu[...]
[...]o dirvi che l'inizio fú meschinissimo: il vano davanti con l'entrata sul piazzale della ferrovia fu diviso in due quello davanti per la vendita, e l'altra metà adibito per cucina e sala da pranzo. Dopo il portoncino, quel vano che dopo fu adibito a studio, piantammo un salottino alla meglio dove fu celebrato con lusso il battesimo del primo figlio del secondo letto, Carlo.
Tornati dal viaggio di nozze, riprendemmo con passione il nostro lavoro. Zia Angelarosa e Amelia erano in poco tempo diventate maestre nel loro compito, ed io facevo il mio giro per gli acquisti. Come tutte le iniziative mie, anche questa fu coronata con molto successo, e gli affari andavano a gonfie vele. Il lavoro intenso era la pasta, e quasi tutte le sere si dovevano vuotare e selezionare quindiciventi casse, ed i tre artefici ero io, la mia povera Amelia e mio figlio Sabino, il quale fin da piccolo aveva una passione per il commercio, e di scuola era poco appassionato; figlio che in questo momento benedico e lo addito ai fratelli tutti, ai figli, ai nipoti, come esempio di [...]
[...] Con questo non voglio menomare l'affetto
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loo ANGELO MUSCETTA
per gli altri figli, che per un buon padre rimane sempre uguale per tutti, anche se in momento di narrazione se ne voglia tessere qualche elogio.
Dal principio del secondo matrimonio non fu il solo negozio che fu causa della mia ascesa a gradazione, ma furono molti i sagrificii: due sole camere per dormire, una per noi ed un'altra piccola (che fu adibita dopo per salotto) per la zia Angelarosa, e i figli Amato e Sabino, e tutto il resto della casa adibita per albergo, che ci ha sempre fruttato abbastanza, oltre tre quartini al palazzo Alvino di fronte, che fittavamo, a camere mobigliate, che la mia povera mamma e una persona di servizio ne curavano la manutenzione. La nostra vita fu sempre piena di sagrificii, di lavoro, di privazioni, essa non conosceva, nè concepiva il lusso, solo si affacciavano alla mente i primi due rimorsi (se così vogliamo chiamare) per la mia povera Vincenzina e per il mio povero padre, che solamente quando era venuto il momento che potevano godere la vita,[...]
[...]so, per modo di dire, cioè qualche chilo per ogni articolo, ai piccoli dettaglianti.
Ero molto soddisfatto, avevo l'aria già di un grande grossista: dall'acquisto di kg. 5 cioccolato, incominciavo a ritirare dalla Svizzera (Compagnie Suisse di Lugano) i primi kg. 50 di cioccolato speciale a lire 2.60 il chilo franco Avellino con pagamento a 60 giorni tratta, e così per lo zucchero, caffè, pepe ecct. Durante questo periodo, la mia povera Amelia, zia Angelarosa si occupavano per la vendita a minuto perché erano diventate molto provette, ed io mi incaricavo per la vendita all'ingrosso, e per gli acquisti. La mia casa si allietò del primo figlio Carlo, poi Vincenzina che insieme a Umberto, e Mario venuti dopo, furono cresciuti su sacchi di pasta, farina, e persino nei tiretti del caffè, senza tante sottigliezze, né bambace, né
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paramenti di seta, merletti ecct., ma solamente con l'affetto materno e paterno: á. quali gioivano, lavorando e cantando. Che bei giorni felici! Si andò avanti fino al 1914, epoca che scopp[...]